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Cemento, acciaio e alluminio: ecco perché il CBAM pesa più per l’Italia

Il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) rappresenta un passo significativo nell’evoluzione della politica industriale europea degli ultimi anni. Dal 2026 l’Unione Europea applicherà un prezzo del carbonio alle importazioni di settori ad alta intensità emissiva – ferro, acciaio, alluminio, cemento, fertilizzanti, idrogeno ed elettricità – con un obiettivo chiaro: evitare che la decarbonizzazione europea finisca per spingere la produzione verso Paesi con standard ambientali più deboli e, allo stesso tempo, difendere la competitività dell’industria europea.

Il meccanismo nasce da tre esigenze complementari: contrastare il carbon leakage, cioè la delocalizzazione della produzione in Paesi con standard ambientali più deboli,  proteggere le imprese che già sostengono i costi del sistema europeo di scambio delle emissioni (EU ETS) e spingere i partner commerciali globali a ridurre l’intensità emissiva rendendo la decarbonizzazione un fattore competitivo anche nei mercati globali.

L’impatto sull’Italia: dove siamo più vulnerabili

Secondo un recente working paper del FMI, l’impatto complessivo del CBAM sugli scambi europei è relativamente limitato (circa 0,10% del valore totale delle importazioni). Tuttavia, l’effetto varia in modo significativo da settore a settore e tra i diversi Stati membri.

Per l’Italia, i settori più esposti sono tre: cemento, ferro e acciaio, alluminio.

  • Cemento. È il comparto più vulnerabile: l’Italia registra un impatto potenziale del 10,8%, nettamente superiore alla media UE (~7–8%) e ben sopra Francia e Germania. Il motivo è duplice: forte dipendenza da fornitori extra-UE dei Balcani e della Turchia, e un elevato fabbisogno di materiali da costruzione.
  • Ferro e acciaio. Anche qui l’Italia mostra una sensibilità superiore alla media europea (3% Italia, contro 1% di Francia e Germania) a causa dell’importazione di semilavorati siderurgici da Turchia, Ucraina e Serbia, con un’offerta intra-UE spesso insufficiente o non competitiva.
  • Alluminio. L’impatto (1,9%) è solo leggermente superiore alla media UE (circa 1,3%), ed è determinato dal peso del settore nelle filiere automotive, packaging ed edilizia, e dalla dipendenza da Paesi con mix energetici più carbon-intensive.

Molto più contenuta, invece, l’esposizione a elettricità e fertilizzanti, dove l’Italia risulta allineata alla media europea.

Perché l’Italia è più esposta rispetto alla media UE?

Non è una questione di inefficienza, ma della composizione delle catene di fornitura e dei volumi di materiali energivori utilizzati dal sistema produttivo.

L’Italia, infatti, importa grandi volumi di cemento, acciaio e alluminio da Paesi extra-UE ad alta intensità emissiva, è tra i maggiori utilizzatori europei di questi materiali nelle proprie filiere (edilizia, meccanica, automotive) e dispone di un numero più limitato di alternative intra-UE competitive per prezzo e caratteristiche tecniche.

Dal rischio all’opportunità: la possibile leva competitive

Il CBAM viene spesso letto come un costo aggiuntivo per l’industria italiana. È vero solo in parte. Per molte imprese potrebbe trasformarsi in un vantaggio competitivo. L’aumento del prezzo relativo dei competitor extra-UE più inquinanti riduce il dumping ambientale e valorizza le aziende europee, spesso già più efficienti sotto il profilo energetico e con tecnologie più pulite.

Settori in cui l’Italia eccelle, come la siderurgia elettrica o il riciclo dell’alluminio, potrebbero beneficiare di un mercato più equo e premiante per chi investe nella decarbonizzazione.

Nel medio periodo, il CBAM potrebbe inoltre stimolare il reshoring di produzioni chiave e ridurre la dipendenza da fornitori con standard emissivi molto inferiori a quelli europei.

1. Protezione dalla concorrenza ad alta intensità emissiva

Il CBAM riduce la competitività dei produttori extra-UE che non pagano un prezzo del carbonio, utilizzano tecnologie altamente emissive o operano con energia fossile.

Le imprese italiane, spesso più efficienti e con processi relativamente più puliti, ne risultano avvantaggiate.

2. Fine del “dumping ambientale”

I produttori esteri che offrivano prezzi inferiori grazie a standard ambientali più permissivi perdono questo vantaggio competitivo.

3. Incentivo alla decarbonizzazione delle imprese italiane

Il CBAM premia le imprese che già investono in tecnologie low-carbon, ad esempio siderurgia elettrica (EAF), dove l’Italia è leader europeo, alluminio riciclato, molto meno emissivo dell’alluminio primario e materiali da costruzione a basse emissioni.

4. Rafforzamento della filiera industriale europea

Nel medio periodo il CBAM può favorire il reshoring di produzioni industriali,ridurre la dipendenza da fornitori extra-UE con mix energetici più sporchi, e stimolare investimenti e innovazione green all’interno dell’UE.

Si tratta di un potenziale vantaggio competitivo sistemico per l’industria europea.

Conclusione

Il confronto sul CBAM tende a concentrarsi sugli impatti immediati come i costi, la burocrazia, e la complessità tecnica, ma la posta in gioco è più ampia. Il CBAM non è soltanto uno strumento di politica climatica: è una misura industriale, geopolitica e commerciale, destinata a ridisegnare le catene del valore europee.

Per un Paese manifatturiero come l’Italia, la sfida non è evitare il CBAM, ma sfruttarlo: investire nella modernizzazione delle filiere, integrare tecnologie low-carbon e prepararsi a una competizione internazionale in cui il prezzo del carbonio diventerà un fattore strutturale.

La transizione non riguarderà solo le emissioni, ma la posizione dell’Europa, e dell’Italia, nelle industrie strategiche del futuro.

Main Source: The EU’s CBAM / IMF Working Paper No. 2025/125

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