Negli ultimi mesi numerosi articoli – classificabili in due gruppi – hanno criticato gli investimenti ESG offrendo teorie e prospettive diverse a sostegno dei loro argomenti: il primo di autori che mancano di conoscenze fondamentali in materia di ESG, il secondo comprendente coloro che mirano a stimolare conversazioni significative per il miglioramento dell’industria.
Gruppo 1: Mancanza di conoscenze fondamentali in materia ESG
Fondamentalmente, gli investimenti ESG implicano l’integrazione di valutazioni relative a pratiche ambientali, sociali e di governance nel processo di investimento. Questa integrazione mira a gestire in modo più efficace rischi e opportunità non direttamente osservabili nei bilanci finanziari, un processo storicamente trascurato nell’analisi finanziaria tradizionale. Affidandosi esclusivamente ai bilanci quindi sarebbe difficile ottenere informazioni dettagliate su tutti quei fattori che potrebbero influire significativamente sulle performance di una società nel medio/lungo termine, rendendo pertanto necessaria la loro integrazione nelle decisioni di investimento.
Tuttavia, leggiamo regolarmente di semplificazioni eccessive sull’integrazione ESG spesso costruite per presentare argomenti contrari agli investimenti ESG e tendenti a concentrarsi solo sulle performance a breve termine durante le fasi di rotazione del settore nel mercato.
Ad esempio, se l’Indice S&P Global Clean Energy, costruito per misurare le performance delle aziende nei settori legati all’energia pulita, registra performance inferiori rispetto all’Indice S&P 500 o all’Indice S&P 500 Energy, ciò non implica effettivamente che l’integrazione ESG danneggi i portafogli degli investitori. L’Indice S&P Global Clean Energy è un indice tematico, che si allinea di più ai criteri ESG rispetto a un indice tradizionale. E in quanto indice tematico è esposto a un significativo bias settoriale strutturale, dal momento che le aziende che operano in settori o catene di approvvigionamento simili possono essere influenzate dalle stesse variabili, come ad esempio aumenti dei tassi di interesse, più di società in altri settori.
La maggior parte delle performance dell’S&P 500 nel 2023 è stata guidata, inoltre, da un numero limitato di società (i magnifici 7). Diversamente il prezzo dell’S&P 500 Energy è significativamente correlato al prezzo del petrolio, influenzato dalle condizioni di approvvigionamento stabilite dai produttori dei paesi e dalla domanda dettata dalle situazioni e dalle aspettative economiche globali. Come questa comparazione e le supposizioni derivanti possano integrarsi con la validità dell’inclusione delle pratiche ambientali, sociali e di governance nell’analisi delle aziende non è chiaro.
Alcuni affermano che l’ESG sia una bolla, spesso riportando cali temporanei nei prezzi delle azioni di quegli asset manager focalizzati sugli investimenti tematici sostenibili. Tuttavia, l’ESG e gli investimenti tematici non sono la stessa cosa e presentare il declino nel prezzo delle azioni di un singolo gestore patrimoniale come prova che l’integrazione dei parametri ESG nel suo complesso non sia positiva sembra eccessivamente semplicistico oltre che una generalizzazione affrettata.
Gruppo 2: Miglioramento dell’industria
Nel secondo gruppo di critiche, numerosi articoli focalizzano l’attenzione su concetti interessanti:
Greenwashing: Ricerche recenti hanno indicato una crescente preoccupazione tra gli investitori riguardo alle affermazioni ESG delle società di gestione evidenziando che l’industria degli investimenti ha ancora molta strada da fare. il Global Investor Survey 2023 di PwC ha evidenziato, ad esempio, che oltre il 90% degli investitori ritiene che la relazione tra società e performance di sostenibilità contenga affermazioni non supportate.
In MainStreet Partners abbiamo identificato, attraverso le nostre valutazioni di due diligence ESG, diverse situazioni a rischio di greenwashing a livello di fondi di investimento. Ciò è attribuibile alla complessità e alla mancanza di chiarezza in settori cruciali della regolamentazione sulla sostenibilità e, in diverse circostanze, a causa di approcci negligenti piuttosto che di intenzioni premeditate. Nonostante si prevedano modifiche normative nel medio/lungo termine, è fondamentale che buyer e distributori di prodotti di investimento adottino una metodologia approfondita. Questo implica esaminare attentamente la strategia di investimento, assicurando coerenza tra documenti regolamentari e commerciali.
Conflitto di interesse: Uno studio della Columbia e della Emory University “solleva preoccupazioni sulla credibilità dei rating ESG e sottolinea la necessità di comprendere gli incentivi che determinano la produzione dei rating stessi”. In effetti, dal documento emerge che i risultati di alcuni rating ESG sono spesso guidati dalla capitalizzazione di mercato delle società. Propensione nota all’interno dell’industria, in quanto attribuisce una maggiore forza alle aziende più grandi che impiegano risorse aggiuntive per impegnarsi nel fornire e diffondere dati ESG, indipendentemente dall’effettivo sforzo.
Tuttavia il documento sottolinea che questa correlazione non è esclusivamente il risultato delle capacità di “comunicazione” delle grandi aziende. Alcune rating agency non solo valutano le performance ESG, ma anche commercializzano i loro indici basati su tali valutazioni. La ricerca ha evidenziato come alcune di queste agenzie tendano a assegnare valutazioni ESG più elevate alle aziende con una migliore performance nelle azioni e a quelle che sono incluse nei loro indici ESG.
L’Europa sta affrontando il problema con una nuova regolamentazione che dovrebbe entrare in vigore entro il 2025.
Disomogeneità e mancanza di trasparenza: Numerosi studi evidenziano variazioni significative tra i rating ESG di diversi provider, gettando sospetti sulla difficile integrazione della componente stessa.
I data provider hanno a disposizione informazioni differenti a seconda del livello di comunicazione delle imprese, e spesso ricorrono a stime o ipotesi se i dati non sono disponibili o sono incompleti. Il Regolatore ha lavorato in questi anni per imporre ad un maggiore numero di aziende di produrre reportistica di sostenibilitá oltre che supportare una potenziale standardizzazione delle informazioni. Una delle azioni è la direttiva CSRD (“Corporate Sustainability Reporting Directive”) che mira ad ampliare il perimetro di aziende coinvolte nella redazione dell’informativa di sostenibilità rispetto all’attuale NFRD (“Non-Financial Reporting Directive”).
Dopo aver raggiunto l’accordo a dicembre 2023, le componenti Europee sembravano destinate a procedere al voto sulla CSRD a febbraio, ma prima è arrivata la proroga al 2026, e poi lo scorso 9 Febbraio la presidenza del Consiglio dell’Unione europea ha deciso di rinviare il voto a data da definirsi. La situazione risulta sicuramente da monitorare in quanto se il voto formale al Consiglio e al Parlamento europeo non dovesse avvenire entro le elezioni europee di inizio giugno ci potrebbero essere ulteriori ritardi.
Complessità e sfide: Affrontare queste complessità è impegnativo e i rating ESG dovrebbero essere visti come un’analisi e un’opinione sul profilo ESG di un’azienda piuttosto che un rating di qualità standardizzato. Questo aspetto rimane cruciale fino a quando non saranno accessibili, a livello globale, dati omogenei, sia di grandi che di medie imprese.
Semplificare i rating ESG, allineandoli alla regolamentazione Europea, come l’SFDR, che enfatizza un numero limitato di dati faciliterà la comprensione e guiderà il mercato europeo.
ESG, siamo di fronte a una nuova era
Anche se è vero che i rating ESG non sono perfetti, l’alternativa disponibile al momento sono i PAI (Principal adverse Impact), molto più complessi. Gli operatori di mercato stanno compiendo sforzi enormi per comprendere le definizioni dei singoli PAI e le modalità di calcolo, che non sempre sono chiare. I rating ESG dovrebbero integrare questi aspetti per migliorare la loro efficacia.
Ci troviamo di fronte ad una nuova era: come molte rivoluzioni, c’è una fase iniziale di entusiasmo seguita da un periodo di rifiuto. Alla fine, però, il tutto si trasforma in quotidianità e si tende a dimenticare il passato. Fortunatamente, le normative europee stanno spingendo fortemente in questa direzione, creando un ciclo positivo che avrà un impatto non solo sugli operatori dei mercati finanziari, ma anche sul pubblico in generale.
Daniele Cat Berro, CFO and Co-COO in Executive @ MainStreet Partners
Pubblicato da Il Sole 24 Ore