SFDR Review Proposal: Step in the right direction but questions remain

The European Commission’s SFDR Review Proposal marks a decisive pivot in the EU’s sustainable finance architecture. Yet for all its ambition, it is a reform that moves forward and backwards at the same time, simplifying what had become unwieldy, while re-opening perennial debates the market had hoped were settled.

1. Removing entity-level PAI disclosures: A step backwards?

The decision to eliminate entity-level PAI reporting may be efficient, but efficiency alone is not progress. For many Asset Managers and Wealth Managers, the PAI process, though far from perfect. had triggered internal improvements in data collection and impact assessment. Eliminating the requirement may interrupt this development at a moment when more consistency, rather than less, would be valuable.

Of course, nobody disputes that the process was cumbersome. Data inconsistencies across providers meant the final outputs were frequently useful only for internal assessment, not for the broader market. But that internal usefulness mattered.

2. Three-tier Product categorisation: Alignment with reality

Replacing Articles 8 and 9 with three product categories—Sustainable, Transition, and ESG Basics—corrects a long-standing mismatch between regulatory intention and market behaviour. Articles 8 and 9 were never meant to become de facto labels, yet the industry adopted them as such.

This clearer categorisation brings welcome structure, but it also demands far more. Wealth Managers, in particular, will need to deepen product due diligence to ensure alignment with the new thresholds and to guard against greenwashing. The categories allow ample flexibility in approach, so a fund’s strategy, methodology, and asset manager profile will matter more than ever.

For us, this holistic assessment has always been our core methodology, not just analysing holdings, but scrutinising strategy and manager behaviour. Our existing framework already includes a dedicated section evaluating ESMA naming alignment, and this work is now directly in step with what the market will increasingly require.

The interaction between the new SFDR product categories and ESMA’s existing naming guidelines will require careful consideration. Under the current ESMA rules, funds using “ESG” terminology must apply Paris Aligned Benchmark-level exclusions, while the ESG Basics category under the proposed SFDR framework would apply less stringent Climate Transition Benchmark-type exclusions. The two approaches are not fully aligned, and further regulatory clarification will be essential to ensure consistency across the framework and avoid operational uncertainty.

3. Removing “Sustainable Investment” definition: Necessary, yet not transformative

Removing the former definition of “Sustainable Investment” addresses the inconsistencies generated by its broad interpretation. However, embedding sustainability directly within product-category criteria may not fully resolve this issue. Without detailed thresholds and sector-level guidance, different market actors may still arrive at diverging interpretations of what constitutes a “sustainable” product.

Consistency, comparability, and clarity will depend entirely on the new product templates and disclosure rules.

4. Simplified product-level disclosure: Relief for some, headache for others?

With the removal of mandatory Sustainable Investment and Taxonomy disclosures—and with PAI metrics becoming less central—the foundations of the current suitability framework will need to be reconsidered. This transition is manageable but will require distributors to re-design questionnaires, product mapping methodologies, and internal processes once the new templates are finalised. Clarity from regulators will be particularly important to ensure a smooth and consistent implementation across the market.

As with the other reforms, the ultimate effects depend on the details of the forthcoming templates. But it is already clear that distributors will face significant operational and conceptual adjustments.

A Reform That Leaves Important Questions Open

The SFDR Review Proposal is a clear attempt to bring coherence to a system that had become unwieldy and, in parts, ambiguous. In many respects, it succeeds. Yet it also deconstruct mechanisms that, despite their flaws, were beginning to drive real progress.

As the market waits for final templates and implementation guidance, one thing is emerging: this reform could reshape not just disclosures, but the entire ecosystem of sustainable fund classification, selection, and distribution.

And whether the reform ultimately brings greater clarity will depend on the forthcoming technical standards and templates, which will determine how consistently the new framework is applied across the market.

La rivoluzione dell’IA nella finanza sostenibile

In un contesto in cui le istituzioni finanziarie, così come i fornitori di rating ESG e di sostenibilità, si trovano a far fronte a crescenti pressioni regolamentari e all’esigenza di gestire grandi quantità di dati, l’intelligenza artificiale emerge come un potente facilitatore ma anche come un potenziale rischio.

Dall’aumento dell’efficienza nei processi di rendicontazione alla nascita di nuovi dilemmi etici e di governance, l’IA sta ridefinendo il modo in cui l’ESG e la sostenibilità vengono implementati, monitorati e regolati.

Per investitori sostenibili e società di investimento, l’IA dovrà rappresentare un’area di reale interesse e studio nei prossimi anni.

L’efficienza dell’AI nella rendicontazione ESG e il costo ambientale

L’IA sta diventando uno strumento chiave per aiutare gli operatori finanziari a gestire la crescente complessità della rendicontazione ESG e di sostenibilità. Con normative come la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) dell’Unione Europea, che dal 2026 si applicherà a quasi 50.000 imprese, le aziende dovranno raccogliere, validare e rendicontare dati molto più granulari—spesso provenienti da migliaia di fornitori.

Gli strumenti basati su IA possono automatizzare gran parte di questo lavoro, rendendo la compliance più rapida ed economicamente efficiente.

L’IA sta già migliorando la raccolta dei dati ESG e di sostenibilità, permettendo di operare su scala senza sacrificare la qualità. L’automazione consente l’estrazione, la classificazione e la validazione delle informazioni in maniera tempestiva, su asset class e geografie diverse, aiutando i clienti a rimanere allineati a un perimetro normativo in continua espansione.

Tuttavia, questi benefici hanno un costo ambientale. L’addestramento dei modelli di IA e il funzionamento dei data centre richiedono grandi quantità di energia e acqua, il che contribuisce alla crescita delle emissioni e mette sotto pressione le risorse naturali.

I regolatori stanno prestando sempre più attenzione a questo aspetto. La Commissione Europea, ad esempio, sta valutando requisiti specifici affinché le aziende rendicontino l’impronta ambientale del proprio utilizzo dell’IA.

Allineare l’IA all’etica e all’impatto

L’IA apre nuove possibilità per gli investimenti etici e a impatto. Algoritmi avanzati possono monitorare continuamente i portafogli per verificarne l’allineamento alle preferenze ESG, reagire a nuove controversie e adeguare dinamicamente le esposizioni—portando maggiore personalizzazione e reattività alle strategie di investimento sostenibile.

Ma l’IA introduce anche rischi etici. In assenza di una governance adeguata, i modelli possono consolidare bias sistemici, perpetuare esclusioni o generare risultati opachi che minano la fiducia.

L’Artificial Intelligence Act dell’UE, adottato nel 2024, giudica molte applicazioni finanziarie dell’IA—come il credit scoring o la costruzione automatizzata di portafogli—come “ad alto rischio”, imponendo severi requisiti di trasparenza, governance dei dati e supervisione umana.

Parallelamente, la Financial Conduct Authority (FCA) del Regno Unito ha identificato il bias algoritmico come una minaccia diretta alla tutela dei consumatori e all’integrità dei mercati.

Costruire fiducia nella finanza guidata dall’IA

La governance è il cuore dell’approccio europeo alla regolamentazione dell’IA. L’AI Act impone che gli strumenti finanziari basati su IA rispettino standard rigorosi in materia di qualità dei dati, trasparenza e gestione del rischio. Questo riguarda anche gli strumenti focalizzati sull’ESG—come piattaforme di rating e analisi basate su IA—che dovranno documentare chiaramente le modalità in cui l’IA viene applicata, verificata e supervisionata.

Inoltre, dal 2026 i fornitori di rating ESG e di sostenibilità nell’UE saranno soggetti al Regolamento sulla Trasparenza e l’Integrità delle Attività di Rating ESG (UE 2024/3005) che introduce obblighi di disclosure sui metodi basati su IA, sulla tracciabilità delle fonti dati e sulla mitigazione dei conflitti di interesse—rafforzando ulteriormente il legame tra integrità tecnologica e credibilità della sostenibilità.

Il Regno Unito è allineato su questi principi. La FCA richiede ora che i consigli di amministrazione abbiano responsabilità diretta per i sistemi di IA, con una chiara comprensione degli output e dei rischi dei modelli. Le società non in grado di spiegare o monitorare il funzionamento dei propri strumenti basati su IA rischiano di non essere conformi alle aspettative regolamentari e di incorrere in sanzioni.

Una doppia trasformazione

L’intersezione tra IA e ESG sta guidando una doppia trasformazione: da un lato, ampliando le possibilità della finanza sostenibile; dall’altro, imponendo maggiore attenzione nell’uso della tecnologia. Per le istituzioni finanziarie il messaggio è chiaro: la governance dell’ESG e quella dell’IA non possono più essere considerate separatamente.

Per avere successo, le imprese devono integrare l’IA nei framework di sostenibilità—non solo per migliorare la rendicontazione e i risultati degli investimenti ESG e di sostenibilità, ma anche per garantire che i mezzi utilizzati siano tanto responsabili quanto i fini perseguiti.omento in cui la finanza internazionale inizia davvero a rispondere alla sfida dell’attuazione.

SFDR, la svolta della Commissione Europea e cosa significa davvero per il mercato

La Commissione Europea ha pubblicato pochi giorni fa la proposta di revisione della Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), con l’obiettivo dichiarato di semplificare il quadro normativo, aumentare la comparabilità delle informazioni e introdurre un nuovo sistema di classificazione dei prodotti finanziari. Una riforma che segna una svolta significativa rispetto agli Articoli 8 e 9, che il mercato aveva ampiamente utilizzato come etichette di sostenibilità, pur essendo stati concepiti dal Regolatore come schemi di disclosure.

La revisione introduce tre categorie in cui al momento permangono ampi margini di flessibilità – Sustainable, Transition ed ESG Basics – e rimuove vari obblighi percepiti come onerosi, tra cui la rendicontazione dei Principal Adverse Impacts (PAI) a livello di entità.

Addio ai PAI obbligatori: semplificazione o passo indietro?

Il reporting PAI ha rappresentato un primo passo verso il monitoraggio sistematico degli impatti negativi degli investimenti. Pur con limiti metodologici e dati spesso imperfetti, ha forzato gli operatori a costruire processi interni più strutturati. La sua abolizione rappresenta quindi un arretramento in termini di trasparenza e accountability, anche se è innegabile che il processo fosse gravoso e scarsamente fruibile per gli stakeholder esterni.

Un potenziale conflitto normativo

Le tre nuove categorie segnano un cambio di paradigma e risultano più aderenti a come gli investitori selezionano effettivamente i fondi.
Appare aprirsi un disallineamento comparando le nuove classificazioni con le linee guida ESMA sui nomi dei fondi: la categoria ESG Basics di SFDR richiede esclusioni allineate ai Climate Transition Benchmarks (CTB), meno stringenti dei Paris-Aligned Benchmarks (PAB) richiesti oggi da ESMA per i fondi che usano il termine “ESG”. Il risultato è un potenziale conflitto normativo.
A nostro avviso, dovrebbe prevalere l’impostazione SFDR, più coerente con la logica del nuovo sistema e più facilmente applicabile.

Cos’è un “investimento sostenibile”?

La proposta elimina la definizione di “investimento sostenibile”, che negli anni ha generato divergenze interpretative tra gli asset manager. Tuttavia, il Regolatore definisce la categoria Sustainable come in: “Prodotti che contribuiscono a obiettivi di sostenibilità ambientale o sociale investendo in società o progetti che già rispettano standard di sostenibilità elevati”. Solo con la pubblicazione dei nuovi template di prodotto sarà possibile valutare il reale livello di rigore. La complessità di definire cosa sia sostenibile a livello di strategia di fondo non scomparirà ed è improbabile che la revisione elimini del tutto le ambiguità.

MiFID: un sistema da ricostruire

La Commissione propone una drastica semplificazione delle disclosure di prodotto, limitandole a dati disponibili, comparabili e veramente significativi.
Da un lato questo ridurrà gli oneri per gli operatori, dall’altro sembra indirizzare il mercato verso un’intera riscrittura dell’impianto MiFID sulle preferenze di sostenibilità.

I tre pilastri attuali (quota di investimenti sostenibili, percentuale di allineamento alla Tassonomia, considerazione dei PAI) diventano potenzialmente obsoleti se le rispettive disclosure non sono più obbligatorie o mancano definizioni puntuali. Distribuire prodotti in linea con le preferenze dei clienti richiederà la costruzione di un nuovo questionario MiFID e andranno sviluppati nuovi sistemi di mappatura dei prodotti.

Cosa cambia per le gestioni patrimoniali e l’utilizzo dei dati

Il servizio di gestione patrimoniale non rientrerà nell’ambito delle nuove categorie di prodotto introdotte da SFDR 2 e, di conseguenza, non potrà essere classificato come Articolo 7, 8 o 9. La normativa riserva infatti tali categorie esclusivamente agli strumenti finanziari caratterizzati da una strategia formalizzata e destinati alla distribuzione.

Parallelamente, SFDR 2 introdurrà requisiti più stringenti in materia di utilizzo dei dati. Con l’obiettivo di migliorare la trasparenza sulla provenienza dei dati, rafforzare la qualità delle informazioni utilizzate e ridurre il rischio di fare affidamento su dataset non verificati o non adeguatamente controllati, la normativa imporrà la formalizzazione e documentazione degli accordi sull’impiego di informazioni provenienti da fornitori esterni, con l’unica eccezione dei dati open-source. Questa evoluzione normativa è inoltre coerente con il quadro regolamentare che sarà attivo dal prossimo anno per i provider di rating ESG.

Che cosa significa tutto questo per il mercato?

La revisione potrebbe ridurre parte della complessità introdotta negli ultimi anni, ma rischia anche di creare un periodo di forte incertezza operativa. In particolare:

  • le linee guida ESMA e la nuova SFDR potrebbero risultare incoerenti;
  • i PAI più soggettivi portano a una minore confrontabilità tra i fondi;
  • MiFID II dovrà essere potenzialmente ripensata;
  • la definizione di categoria di prodotto “Sostenibile” rischia di restare aperta a interpretazioni diverse come in precedenza.

In questo quadro di cambiamento, la capacità di valutare non solo i portafogli ma anche la coerenza delle strategie e dei processi di gestione diventa essenziale per comprendere come i prodotti si posizionano rispetto alle nuove categorie e per riconoscere eventuali criticità, inclusi i rischi di greenwashing.

La necessità di verifiche più puntuali sulle metodologie adottate dai gestori e sull’allineamento alle norme esistenti è destinata a crescere man mano che il mercato si adatterà al nuovo impianto regolamentare.

Che fine ha fatto l’ESG?

Nei mesi successivi alla pubblicazione delle Linee Guida dell’ESMA sui nomi dei fondi, l’industria europea dell’asset management ha avviato una vera e propria ondata di rebranding. I dati parlano chiaro: dei 5.354 fondi classificati come Articolo 8 e 9 nel database di MainStreet Partners, 1.639 rientrano nel campo di applicazione delle linee guida, di cui 541 Articolo 9 e 1.098 Articolo 8.
La stragrande maggioranza di questi è soggetta alle esclusioni previste dai Paris-Aligned Benchmark (PAB), che riguardano rispettivamente 487 e 970 fondi. Tuttavia, il vero impatto non risiede tanto nelle esclusioni, quanto nei nomi.

La grande rimozione
In totale, 700 fondi hanno modificato il proprio nome dall’annuncio delle linee guida, e il 90% di questi è rappresentato da fondi Articolo 8. L’asimmetria è evidente e suggerisce che, mentre i fondi Articolo 9 erano in larga misura già allineati, gli Articolo 8,  più esposti al rischio di “greenwashing”,  sono stati costretti ad adeguarsi a requisiti più severi. In tutto, 21 fondi Articolo 9 e 405 fondi Articolo 8 hanno rimosso almeno un termine legato alla sostenibilità dal proprio nome, mentre rispettivamente 48 e 226 lo hanno aggiunto.
In breve, questo rafforza quanto già osservato: la rimozione di termini è molto più diffusa tra i fondi Articolo 8 e avviene con una frequenza doppia rispetto alle aggiunte, mentre i fondi Articolo 9 mostrano un andamento opposto, essendo già conformi.
Il termine più rimosso? “ESG”, eliminato da 291 fondi, seguito da “Sustainable”, cancellato da 161 fondi.
Tra le poche aggiunte figurano parole come “ESG”, “Screened” e “Transition”, ma con frequenze molto inferiori, segno di una ricalibrazione strategica e regolamentare più che di un abbandono.

Perché sta accadendo
Questo cambiamento è la risposta diretta al tentativo dell’ESMA di limitare l’uso improprio del linguaggio legato alla sostenibilità. Le linee guida stabiliscono che qualsiasi fondo che utilizzi termini come “ESG”, “Sustainable”, “Impact” o “Transition” debba destinare almeno l’80% degli investimenti alla promozione di caratteristiche ambientali o sociali e, se dichiara di essere “sostenibile”, investire in misura significativa in questo tipo di investimenti. Inoltre, tali fondi devono rispettare le severe esclusioni previste dai benchmark PAB o CTB, che vietano l’esposizione a tabacco, combustibili fossili, carbone e aziende che violano i principi ONU o OCSE.
In pratica, questo significa che molti fondi, soprattutto tra gli Articolo 8 con screening ESG parziali, non avrebbero più i requisiti per mantenere tali nomi senza una costosa ristrutturazione del portafoglio. Il risultato? Molti gestori hanno preferito la soluzione più semplice: rimuovere il termine.

Uno shock regolamentare
Ciò che stiamo osservando è una sorta di “pulizia semantica” del panorama dei fondi europei.
Se da un lato l’obiettivo dell’ESMA è rafforzare la protezione degli investitori e la coerenza del mercato, dall’altro l’effetto collaterale è un apparente arretramento del branding legato alla sostenibilità.
Nel breve periodo, questo potrebbe paradossalmente far apparire il mercato meno sostenibile, con centinaia di fondi che perdono la dicitura ESG pur mantenendo lo stesso approccio d’investimento.
Tuttavia, ciò non significa un passo indietro nella finanza responsabile, ma piuttosto la fine di un’era di marketing e l’inizio di una fase guidata dalla conformità, in cui le parole devono riflettere la sostanza.

Oltre il nome: la nuova strategia
Gli asset manager stanno ora ridefinendo il proprio posizionamento: alcuni si stanno orientando verso strategie “Transition”, che restano compatibili con le esclusioni CTB ma offrono maggiore flessibilità; altri puntano su metriche proprietarie e framework di allineamento agli SDG, meno dipendenti dalle definizioni ESMA. Infine, i più grandi, soprattutto con fondi Articolo 9, rafforzano la trasparenza dei dati e i report di allineamento alla Tassonomia UE.

Questo cambiamento riflette un più ampio processo di consolidamento normativo in Europa: la proposta della Platform on Sustainable Finance di introdurre una classificazione in tre categorie (Sustainable, Transition, ESG Collection) tenderà a standardizzare ulteriormente la classificazione dei fondi.

Morte (e rinascita) dell’ESG
L’ESMA non sta “uccidendo” l’ESG, lo sta facendo maturare. La rinuncia ai termini “ESG” e “Sustainable” nei nomi dei fondi non rappresenta un arretramento, ma un passo verso una maggiore credibilità.
La sfida ora è garantire che gli investitori comprendano che dietro meno parole “green” può celarsi un’integrazione della sostenibilità più solida. Quello che emerge è un settore in transizione: dal dichiarare l’ESG al dimostrarlo.

E se le parole stanno scomparendo, forse è perché la vera sostenibilità non ha più bisogno di gridarlo.